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Quanto costa un euro investito in azienda? Costo e rendimento del capitale

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Quanto costa un euro investito in azienda?

Per quanto potremmo essere propensi o avversi al rischio, sicuramente non accetteremmo mai di ottenere un rendimento inferiore a un'attività alternativa che ha lo stesso profilo di rischio.

E' esattamente questo il concetto che sta dietro al calcolo del costo del capitale. Che ovviamente risponde alla domanda. Quanto costa il capitale di cui dispongo, che mi è stato affidato, nel tempo che ho per disporne? Costa almeno quanto il minor rendimento che può offrire un'attività simile alla mia come profilo di rischio.

Questo ragionamento è stato schematizzato nel modello noto come portafoglio di Markowitz, che sta alla base della teoria della finanza.

Immaginiamo che sul mercato siano presenti solo 2 titoli (A e B) e che a seconda della combinazione di quantità di A e B si possano costruire un certo numero di portafogli possibili. Sull'asse delle ascisse abbiamo il rendimento, su quello delle ordinate il rischio.

Quella evidenziata in verde è la frontiera dei portafogli efficienti. Quello che questo semplice modello vuole evidenziare è che un investitore razionale non acquisterà mai un portafoglio di titoli che non si trovi sulla linea verde, in quanto, prendiamo ad esempio il portafoglio rosso, si tratta di un portafoglio che, a parità di rischio, offre un rendimento inferiore.

Quindi se il nostro investitore acquistasse il portafoglio rosso, starebbe letteralmente bruciando denaro, cioè starebbe lasciando soldi in un'attività caratterizzata da un certo rischio ma ottenendo un rendimento inferiore al portafoglio verde.
 

Per la teoria della finanza l’azienda deve produrre un reddito ALMENO sufficiente a remunerare i prestatori di capitale di rischio e i prestatori di debito, ossia il costo finanziario che gli stessi sopportano. In alternativa l’azienda sta «distruggendo valore».
Esattamente come si investono 100 Euro in un BOT o in un conto corrente si investono denari nell’azienda, sotto forma di Debito Finanziario (da parte delle banche) e sotto forma di Capitale di Rischio da parte di Soci e Imprenditori.
È chiaro però che investire in capitale di debito (di uno stato o di una banca) non ha lo stesso profilo di rischio connesso, per esempio, all’investimento nel patrimonio di una società:
- soci NON HANNO un rendimento garantito
- soci sono POSTERGATI in caso di fallimento dell’azienda

Un imprenditore che mette mano al proprio patrimonio personale avrà dunque legittimamente attese di un rendimento del capitale investito adeguato al rischio assunto. 

Riprendendo Markovitz, se l'impresa non rende almeno quanto un titolo di stato, che è evidentemente meno rischioso (dipende dallo stato...) e sicuramente meno faticoso dell'avvio di un'attività imprenditoriale, ossia se metto i soldi in azienda e porto a casa meno di quanto porterei a casa da un titolo di stato cosa sto facendo? Markowitz direbbe che sto acquistando il portafoglio rosso invece del portafoglio verde, cioè investo in un'attività rischiosa che mi offre un rendimento pari o inferiore ad un attività meno rischiosa.
 

Qual è dunque il RENDIMENTO MINIMO, ossia il COSTO OPPORTUNITÀ, dell’investimento in un’azienda

Eccoci arrivati al concetto di COSTO DEL CAPITALE.

Quale il costo opportunità legato all’investimento nella mia azienda?

 

Come calcolare il costo del capitale della nostra realtà aziendale, cioè quel costo del capitale utilizzando il quale rappresentiamo l'effettivo costo delle fonti di finanziamento aziendali? 

Si tratta di un COSTO MEDIO PONDERATO

Il costo del capitale investito nell'attivo aziendale è composto dal costo del capitale preso a debito e, come abbiamo evidenziato in precedenza, dal costo del capitale di rischio, che essendo "di rischio" sarà certamente superiore al costo del capitale di debito.
Si tratta dunque di un costo medio ponderato (WACC) per il quale occorrerà innanzitutto individuare quali sono le fonti di capitale dell'azienda.
Prendiamo un esempio classico.

L'azienda Pluto S.R.L. è caratterizzata da un ammontare di passivo oneroso e patrimonio netto pari a 1.000.000,00 Euro così composto:

  • Fido di cc = 300.000,00 Euro
  • Rate di Mutui passivi scadenti nel prossimo esercizio = 100.000,00 Euro
  • Ammontare di Mutui che scadranno oltre il prossimo esercizio = 500.000,00 Euro
  • Patrimonio Netto = 100.000,00 Euro

Prima osservazione, la società è molto indebitata, in particolare il rapporto Debito/Equity è pari a 9. Da un punto di vista della stabilità aziendale non possiamo definire la società solida.

Seconda osservazione, se dobbiamo calcolare il costo MEDIO e PONDERATO ci occorrerà definire il costo e il "peso" percentuale di ogni fonte sul totale del nostro capitale.

Andiamo per gradi: in prima battuta dobbiamo considerare il costo delle fonti di debito. Ovviamente il costo è il tasso di interesse che ci viene applicato, ma quanto ci costa l'Equity?

Se avete letto il contributo "il valore finanziario del tempo" sicuramente non mi risponderete zero.

Per chi non si ricordasse ecco un rapido memo:

"L'imprenditore mette sudore e sangue nella propria azienda lavorando in media 10-12 ore al giorno[...], rischia il proprio capitale, [...] non vorrà un rendimento minimo da tutta questa fatica e da questo rischio? [...] Non vorrà almeno, dico almeno, il rendimento di un titolo di stato dal capitale investito nella sua impresa?" (Il valore Finanziario del tempo).

In prima battuta, per semplicità, consideriamo il Cost of Equity dato e pari al 6%.

Il costo medio ponderato del capitale non è altro che la MEDIA dei tassi, ponderata per il PESO (%) di ogni fonte sul totale del capitale. Quindi l'operazione è:

WACC = 300.000 x 30% + 100.000 x 10% + 500.000 x 50% + 100.000 x 10% = 3,90%

Tutto qui? Si. Ovviamente per arrivare ad un calcolo vero abbiamo bisogno di ALMENO 1 correzione, oltre al fatto che, ehi, dobbiamo ancora calcolare il costo dell'Equity.

Prima precisazione: il costo del debito

In primo luogo è opportuno rammentare che il vero costo del debito non corrisponde al tasso di interesse. Già perchè in realtà una quota del costo del debito viene recuperata grazie alla deducibilità degli oneri finanziari. Quindi in realtà il fatto di avere oneri finanziari deducibili ci consente di ridurre il carico fiscale.

Attenzione al termine, oneri finanziari deducibili. In primo luogo esistono, infatti, anche gli oneri finanziari indeducibili e in secondo luogo esiste un fondamentale limite alla deducibilità che è dato dal ROL (reddito operativo lordo - attenzione è un concetto fiscale non aziendalistico, Art. 96 TUIR).

Il testo unico sulle imposte sui redditi statuisce che non è possibile dedurre dal reddito (quindi di ridurre il carico fiscale) gli oneri finanziari che superano il 30% del ROL. La nozione non è da approfondire in questa sede, ma sicuramente occorre sempre effettuare una verifica, in sede di pianificazione dei flussi finanziari, sulla effettiva capienza di ROL atta a permettere la piena deduzione degli oneri finanziari. Ultima osservazione, forse per una società così fortemente indebitata come la Pluto S.R.L. la verifica sarebbe davvero opportuna.

Quindi, fatte salve le valutazioni sulla piena deducibilità, il vero costo del debito è pari al tasso al netto del risparmio fiscale (quelli bravi dicono tax shield).

Nell'esempio del Fido dunque, il vero costo del debito sarebbe:

Costo effettivo = i x (1-t) = 5% x (1-24%) = 3,8%

Dove il 24% rappresenta l'aliquota IRES e il 5%, appunto, il nostro tasso di interesse.

Ricapitolando dovremo effettuare questo calcolo per ogni singolo tasso e ripetere la nostra media ponderata.

Nell'esempio di prima:


Seconda precisazione: calcoliamo il Cost of Equity

Quanto costa il capitale immesso dall'imprenditore? Dicevamo almeno (ALMENO) il rendimento di un tasso risk-free.

Questo tasso rappresenta il costo del capitale per un'entità "priva di rischio", le virgolette sono d'obbligo in quanto ovviamente non esistono entità totalmente prive di rischio ma se pensiamo ad un titolo emesso da un paese in condizioni economiche di solidità possiamo certamente dire che si tratta di un rischio trascurabile.
A livello fondamentale possiamo dire che questo tasso sintetizza il minimo rendimento per un soggetto che rinuncia a denaro oggi per ottenere un rendimento domani.
A quanto ammonterà dunque, almeno, questo rendimento? Possiamo dire, per brevità, che ammonterà almeno al tasso di crescita dell'economia reale calibrato per la decrescita del potere d'acquisto nel tempo ossia l'inflazione.
L'inflazione, esatto, quel fenomeno ormai dimenticato che dopo la crisi pandemica è tornato prepotentemente a calcare i palcoscenici internazionali creando non pochi scompensi in quasi tutti i settori. Proprio per effetto dell'inflazione, attualmente, galoppante, i tassi hanno subito un incremento consistente sebbene per valutare questo parametro in modo opportuno sarebbe adeguato considerare un tasso di inflazione normale nel medio lungo periodo. Queste considerazioni mirano semplicemente ad evidenziare che per identificare il tasso risk-free non è sufficiente "prendere il BUND" ossia il tasso di rendimento dei titoli di stato tedesco (stato solido e base di partenza comunque attendibile) senza porsi una seria domanda sulle prospettive normali nel medio periodo che l'economia potrà connotare.
Fatto questo breve ex-cursus sul tasso free risk occorre considerare il fatto che l'impresa tipicamente non è priva di rischio.


Quindi il tasso di rendimento richiesto dall'imprenditore è il tasso free-risk? Cioè il tasso che un uomo può ottenere investendo i propri soldi e stando seduto in poltrona per 10 anni senza rischiare nulla?


Non credo proprio...esatto.

Il tasso free-risk è il minimo da cui partire ma, per il rischio che l'imprenditore assume, sarà sicuramente maggiore. Ma quanto in più?
Eccoci arrivati al nocciolo della questione.

Al riguardo sono stati proposti molti modelli ma quello più diffuso fa capo al CAPITAL ASSET PRICING MODEL. Secondo questo modello il rendimento minimo che un imprenditore richiederà, e dunque il "costo" finanziario che l'azienda implicitamente sostiene per beneficiare del capitale investito dai soci, è pari al tasso risk-free più uno spread.

Questo spread è dato da due componenti distinte:

  1. La prima componente è l'Equity Risk Premium (ERP), ossia il differenziale di rendimento tra il mercato azionario e i titoli di stato in un determinato mercato di riferimento (esempio: Italia/Europa). Quindi il primo componente va a definire proprio quello che ci interessa, ossia quanto il mercato premia, in termini di rendimenti, chi investe in capitale di rischio rispetto in chi investe in titoli free-risk.
  2. Il secondo componente è il BETA (β). Questa componente vuole valorizzare più prettamente il rischio legato al singolo settore in cui l'azienda opera. In questa sede basti sapere questo, il BETA è un indicatore di rischio sistemico, cioè indica quanto il settore dipende o è indipendente dalle oscillazioni di mercato. Un'ulteriore precisazione sarebbe da fare relativamente al concetto di BETA levered unlevered, che consiglio di approfondire.

Quindi il modello presuppone che un imprenditore che investe, facciamo un esempio, nel settore Automotive, vorrà per il suo investimento almeno:
 

TASSO RISK-FREE + (DIFFERENZIALE DI PREMIO AL RISCHIO X QUOTA PER LA SENSIBILITA' ALLE OSCILLAZIONI DEL MERCATO)

 

Facciamo un esempio numerico:







 



Nel nostro esempio il costo del capitale proprio è pari al tasso free-risk (0,5%).
Al tasso free-risk, di cui già abbiamo parlato, occorrerà pertanto aggiungere un premio. Nella nostra formula il premio corrisponderà al prodotto tra l'Equity Risk Premium e il BETA.
Il valore del BETA, nel nostro esempio, è >1. Cosa significa? Nel settore in questione le oscillazioni del mercato influiscono più che proporzionalmente sui valori dei singoli titoli. Quindi è un settore particolarmente rischioso in quanto il rischio, cosiddetto, sistemico, cioè quello non diversificabile in quanto dipendente dalle oscillazioni di tutto il mercato, ha un forte impatto. Il C.O.E. è infatti abbastanza elevato (8,01%).

Il calcolo del WACC

Tornando al nostro esempio di partenza, la Pluto S.R.L. che opera nel settore automotive dovrà calcolare il proprio costo del capitale in questo modo:


Il nostro WACC è pari a 3,31%. Il più elevato costo del capitale è il Cost Of Equity, cosa tutt'altro che inusuale. Anzi, il prestatore di debito rischia sempre meno del prestatore di Equity, in quanto la banca ha un diritto di ottenere soddisfazione del credito erogato, mentre il prestatore di capitale di rischio, lo dice la parola, ne ha diritto nel limite del surplus che la gestione offre una volta soddisfatti tutti i creditori. Chi rischia di più deve chiedere un rendimento maggiore.

Il parametro del WACC rappresenta un fondamentale riferimento per valutare adeguatamente i rendimenti normalizzati dell'azienda (RONA = EBIT / Capitale Investito Netto) nonchè un necessario strumento da utilizzare per l'attualizzazione dei flussi finanziari nella valutazioni di investimenti o nelle valutazioni aziendali basate sui flussi di cassa.

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